sabato 25 novembre 2017

Ravioli e ricordi

Ravioli di carciofi, ricotta e crescenza
di Lucia Bongiorni

La pasta appena fatta ti lascia tra le mani un profumo che sa di passato e di futuro, di sogni ma anche di ricordi. La mia pasta fresca sa di quando avevo sei anni e la nonna Giovanna apriva l'armadio bianco della sua cucina per prendere la macchina Imperia - proprio quella con la manovella - per preparare le lasagne o le fettuccine; la mia pasta sa di tutti i sogni che mi attraversano lo sguardo mentre preparo l'impasto e mi inebrio del suo crudo profumo. 
La mia pasta di oggi profuma di carciofi e ricotta, fresca e artigianale, una pasta ripiena da preparare per la domenica e da condividere o, semplicemente, da preparare per sé. Un guscio che nasconde una verde sorpresa autunnale capace di evocare - ancora una volta come quella Madeleine di proustiana memoria - il calore di un pranzo di tanti anni fa, quando tutto sembrava una magia e il tempo un'ineffabile scatola magica.

Preparate la pasta fresca con 350 grammi di farina bianca, 150 grammi di semola rimacinata, quattro uova intere e un pizzico di sale. Una volta ottenuto l'impasto, fate una palla, avvolgetela nella pellicola e lasciatela riposare.
Nel mentre, cuocete i carciofi, già puliti in acqua e limone. Mettete in una capiente padella qualche cucchiaio di olio extravergine d'oliva e un trito di prezzemolo e aglio. In questo soffritto, aggiungete i carciofi e lasciateli stufare finché non saranno tenerissimi. Cotti che siano, lasciateli intiepidire, quindi tritateli finemente. In una ciotola, mettete il trito di carciofi, la ricotta vaccina fresca e un po' di crescenza. Io prediligo quelle artigianali e buonissime dei fratelli Cavanna di Rivanazzano. Unite al composto un paio di uova intere, una bella macinata di pepe rosa e regolate di sale.
Tirate la pasta, se vi piace usando la macchina Imperia della nonna, proprio quella con la manovella, come faccio io, e preparate i ravioli, che farete cuocere in abbondante acqua salata e servirete conditi con burro, salvia e parmigiano. Un piatto tra sapore e ricordo, da gustare una domenica d'autunno: infiniti istanti di bien vivre.

domenica 19 novembre 2017

Esercizi di stile: fonduta e tartufo

di Lucia Bongiorni

Verso la fine di Novembre, la Fiera del tartufo di San Sebastiano Curone (AL) è per me un irrinunciabile rito d'autunno. Il paese arroccato tra le montagne, una valle bellissima e ora dipinta con i colori dell'oro e del rosso, dal piccolo centro con i suoi vicoli micidiali, si colora di banchi e profumi: caldarroste tra i colori delle verdure d'autunno; formaggi di langa e salumi varzesi; vin brulè per scaldarsi le mani e il cuore nel freddo sole di novembre. Regna principe il tartufo, delizia così rara quest'anno, ma capace di promettere silenziosamente la gioia del palato.

Una tappa per acquistare della buona fontina d'alpeggio, matura che mi ricorda il fieno tagliato, e un paio di tartufi per guarnire il piatto forte della serata. Il latte fresco, le uova della gallina del vicino - si sa, anche quelle, come l'erba, sono più saporite - e un poco di pazienza sono gli ingredienti di questo piatto caldo e goloso che per alcuni sa di montagna e di neve, ma per me sa di quella nebbia lontana che copre la campagna dell'Oratorio dei Rossi; sa di incontro inaspettato che ti fa ritrovare un'amica di tanti anni fa. Sa di tutte quelle cose che scaldano il cuore: sa di ricordi e di sogni. 

Provate questa fonduta, di ricetta rigorosamente artusiana, arricchendola con scaglie di tartufo e servendola con pane caldo e croccante. Io l'ho abbinata a un calice di Montepulciano d'Abruzzo Villa Gemma del 2007, un rosso intenso che ricorda i frutti rossi e le spezie, dal sapore tannico che ben si sposa con un piatto così importante. Infiniti istanti di bien vivre.

domenica 5 novembre 2017

Dell'autunno e delle sue magie.



di Lucia Bongiorni

Ha uno strano sapore la vita, quando ci si sveglia e si sente il ticchettio della pioggia sul tetto e contro i vetri.  Viene voglia di guardare verso le colline per vedere le basse nubi che coprono i filari; voltare gli occhi per correre con lo sguardo alle foglie rosse che coprono la terra e la pianta di rosmarino, nell'angolo del giardino, verdeggiante pur nell'umido freddo della prima belletta di Novembre. Immagini che, come quella Madeleine di cui ho già parlato, giocano con il mio tempo e la mia memoria, mi trascinano giocoforza ai profumi della cucina di un novembre di tanti anni fa, il sugo di funghi della nonna che sobbolliva lento, appena percettibile, sul  caldo buono della stufa a legna pochi giorni prima della fiera di san Martino. 

Ricordi di un viale d'autunno dipinto nella mente, di vino novello e di caldarroste da ritrovare anche sulla tavola di oggi, in un primo piatto semplice e genuino, che sa di quel passato, di affetto e forse anche di nostalgia.


Tagliatelle fresche con ragù bianco di funghi e carne.

Preparate innanzitutto gli ingredienti fondamentali per le tagliatelle: la farina, la semola, le uova, un pizzico di sale, il mattarello, la forza per impastare e un sorriso per non sentire la fatica. Usate un uovo intero ogni cento grammi di farina, di solito io preparo un impasto con 300 grammi di farina bianca, 100 grammi di semola e 4 uova intere. Una volta pronto l'impasto, avvolgetelo nella pellicola, lasciatelo riposare e dedicatevi al sugo.

Preparate il ragù: tritate grossolanamente una grossa manciata di funghi secchi già lasciati ammollare in una ciotola di acqua tiepida. In una casseruola - io ne uso una di coccio - mettete qualche cucchiaio d'olio di oliva, cipolla, sedano e carota tritati finemente e uno spicchio di aglio intero e fate soffriggere. Aggiungete quindi i funghi, la carne bovina macinata, una foglia di alloro, qualche chiodo di garofano e una bacca di ginepro. Fate rosolare la carne, quindi aggiungete un buon bicchiere di fino rosso e lasciate sfumare. Regolare di sale e pepe, quindi lasciate sobbollire delicatamente per circa un'ora e mezza.

Nel mentre, preparate le pasta. Tirate la sfoglia, usando la macchina oppure il mattarello e tagliatela. Ricordate che la pasta fresca non necessita di una lunga cottura: pochi minuti in acqua bollente saranno sufficienti. Conditela con il  ragù bianco nel quale avrete aggiunto, prima di toglierlo dal fuoco, una noce di burro freschissimo. 

Servitele accompagnate da un buon bicchiere di vino rosso: la mia scelta stasera è Cabanon Noir Piccolo Re, squisito Pinot nero che esalta il sapore autunnale di questo sapido piatto. Infiniti istanti di bien vivre.





giovedì 2 novembre 2017

Fish & chips ed altri britannici pensieri.



di Lucia Bongiorni

Mi manca Londra, mi manca Brighton, mi manca il Tamigi. Mi mancano le mie giornate sognanti tra le tele della National Gallery, la musica d’organo che mi cullava e commuoveva mentre ero a Westminster, mi mancano le passeggiate presso il London Bridge e l’ombra degli alberi presso la London Tower. Mi manca Piccadilly Circus con i suoi pub, e quello presso Trafalgar Square dove mi sono fermata a mangiare un panino con il prosciutto e bere thè caldo, perché non stavo bene ma non potevo stare lontana da Londra. Mi manca il viale con la prospettiva di Buckingham Palace sullo sfondo, e la bandiera che sventola all’aria per dire che Lillibeth is at home. I miss Brighton, I miss The Black Lion, il sidro amarognolo che bevevo al crepuscolo, con il mare della Manica appena sullo scorcio del vicolo. Mi mancano i Lanes e i fantasmi che vi abitano, gli stretti vicoli bui ma fioriti di gerani rossi, mi mancano il Royal Theatre e quegli spettacoli so gorgeous di cui capivo solo la metà ma mi entusiasmavano così tanto. Mi mancano anche le luci del Pier che si specchiano sulle onde e l’immagine degli impavidi nuotatori che, la notte, non temevano quel mare e scivolavano sulle acque come delfini. In fondo mi mancano anche tutte quelle ore trascorse, tra la luce e il buio, su pullman che mi portavano qua e là: a Bath per immaginare Jane Austen che sfiorava le acque delle terme romane, tra le strade di Oxford e Cambridge, per una passeggiata troppo veloce tra le pietre di Stonehenge in un giorno di pioggia e nebbia e freddo. Ripenso a quel giorno sull’isola di Wight, all’afternoon tea con Giulia e a quelle risate mentre cercavamo di farcire i nostri scones e la marmellata è finita ovunque. Forse, in fondo, mi mancano persino i placement tests delle scuole in cui sono stata, ripetitivi ma così diversi, e le ore in aula tra compagni di ogni Paese del mondo, mentre sulle strade di Brighton sole e pioggia giocavano così in fretta. To be honest, I miss the UK, so it’s time to leave.... Oh, gosh! I forgot to say... I miss fish and chips!

Fish and chips
Gli ingredienti? Filetti di merluzzo, buone patate, pisellini verdi, qualche foglia di menta, farina bianca, farina di mais, un uovo, un cucchiaio di lievito di birra, acqua, sale e pepe, olio per la frittura.
Tagliate il merluzzo a pezzetti, quindi infarinateli. Fate stufare i piselli con poco olio d'oliva, uno spicchio d'aglio che poi toglierete, regolate di sale e, quando cotti, prima di toglierli dal fuoco, aggiungete una manciatina di foglie di menta. Lasciateli raffreddare, quindi passateli con il minipimer fino ad ottenere una crema densa che versete in piccole ciotoline monoporzione. Una volta pronta la crema di piselli, preparate una densa pastella con le farine, il lievito di birra, l'uovo, l'acqua. regolate di sale, quindi immergetevi il merluzzo tagliato. Mentre fate cuocere il merluzzo, in una padella a parte, preparate le patatine fritte.
Servite il merluzzo accompagnato dalle patate e dalla profumata crema di piselli alla menta. Enjoy your time!

mercoledì 1 novembre 2017

Il profumo del passato e le "pangialline" nel forno.



di Lucia Bongiorni

Mi raccontava mia nonna che c'era un tempo in cui, la notte dei "morti", si lasciava la tavola apparecchiata: sulla tovaglia era usanza lasciare un piatto di morbide pangialline e un po' d'acqua. Era quel tempo in cui i nostri cari, quelli che ci hanno già lasciato ma che ancora - talvolta - ci accarezzano la guancia quando dormiamo, tornavano una notte nelle loro case e chi li aspettava, chi lo sapeva, attendeva il loro arrivo e lasciava loro qualche dolcetto e un bicchiere d'acqua per dissetarsi. Al mattino, i biscotti di mais tanto diffusi nel mio Oltrepo venivano consumati per colazione, con il latte o il caffè.

Antichi come i giorni di cui mi parlava mia nonna Giovanna, che mi ha lasciato in eredità la passione per i fornelli e i piatti tipici del cosiddetto Antico Piemonte, i giallini - o pangialline che dir si voglia - sono grossi biscotti che venivano serviti il giorno di san Giorgio e venivano preparati utilizzando i fiori di sambuco. Con il trascorrere degli anni, le pangialline sono poi diventate il dolce del 2 novembre.

Il profumo di questi biscotti nel forno mi ricorda quei giorni di quando ero piccola, quando il 2 novembre c'era una nebbia che nemmeno lasciava intravedere il rosso dei filari di vite sulla collina di fronte casa e c'era davvero un freddo becco. Il 2 novembre mangiavo le pangialline e aspettavo con tanta trepidazione la fiera di San Martino, scaldandomi il cuore e le labbra con queste delizie di farina gialla. 

Pangialline, o pane di meliga
Prendete 200 grammi di farina bianca, 300 grammi di farina di mais, 200 grammi di zucchero e setacciateli insieme con un pizzico di sale. Quindi aggiungete 3 tuorli, 100 grammi di burro fuso, un po' di latte, la scorza di mezzo limone grattugiato e una bustina di lievito di birra sciolto nel latte tiepido. Mescolate il tutto per ottenere un composto compatto ma facilmente lavorabile con le mani. Lasciatelo riposare un'ora al caldo, quindi preparate i biscotti che farete cuocere nel forno -  preriscaldato a 180 gradi - per circa venti minuti. Quando i vostri sensi saranno ammaliati dal profumo dell'autunno dell'Oltrepo, le vostre pangialline saranno pronte per essere gustate, anche tiepide. Infiniti istanti di bien vivre.