Vorrei che li vedeste con i miei
occhi, certi angoli di Pavia, magari una sera d’autunno, quando una timida
nebbia avvolge tutte le cose e oltre l’angolo, oltre quelle colonne che hai
oltrepassato mille volte, non sai più se ritroverai le usate forme oppure la
porta nascosta per un mondo mai scoperto. Oltre i cortili e i vicoli, oltre le
luci d’autunno e quella atmosfera un po’ malinconica tipica dei luoghi d’antica
gloria, la città in cui venivano incoronati i re d’Italia e i cui sampietrini
sono stati calpestati da Foscolo e Goldoni nasconde altre magie, fatte di
profumi e di colori, di granella di zucchero lasciata inconsapevolmente cadere
sulla balza della gonna, di dolci nati – secondo leggenda – da antiche verità e
grandi nomi.
Profuma ancora di torta Paradiso il
vicolo – che, senza essere genovese è micidiale per quegli studenti che,
come sono stata io, lo percorrevano per entrare al Dipartimento di Lingue e
sostenere un esame - e in cui si nasconde l’ingresso del Retro,
il Bistrot nato nel laboratorio dell’antica Pasticceria Vigoni di Pavia.
Chissà, forse ancora oggi, dopo aver aggiunto un voto al libretto
universitario, gli studenti vanno a prendere un caffè e una pasta tra gli
arredi Liberty della pasticceria.
Ma, si sa, dietro la magia della
pasticceria si nasconde l’arte abile dei maestri pasticceri che, fino a qualche
tempo fa, realizzavano i nostri sogni dolci proprio nel laboratorio di vicolo
Fusi. Fino al 2008 luogo di produzione dell’eccellente Torta Paradiso, il
laboratorio è oggi diventato un bistrot dall’atmosfera calda e avvolgente. Al
centro della sala, il forno, coperto di bianche piastrelle e incorniciato da
bianche colonne leggermente rastremate. Come ci si aspetta da un vero bistrot,
il servizio è allegro, cortese e dinamico; la tavola è ordinata ma informale,
l’ambiente del locale coniuga tempi diversi in un incontro dal sapore
equilibrato. In questo piccolo angolo fuori dal tempo ordinario, Enrico Vigoni
organizza talvolta dei giovedì fuori ordinanza, in cui i piatti del Bistrot
vengono accompagnati da vini di un’azienda selezionata. È nata così la serata
dedicata alla Barbera dell’azienda Braida di Rocchetta Tanaro
(AT).
Un menù autunnale, goloso e
assolutamente rispettoso della tradizione è stato abbinato a diverse barbere
della cantina Braida, fondata da Giacomo Bologna negli anni Sessanta, in
un paese che, come recita una canzone di Paolo Frola, era formato da “Dieci
vigne, sei case, una chiesa”. La Barbera La Monella, vendemmia 2018, è
stato il primo vino dell’azienda e per primo ha accompagnato l’antipasto
elaborato da Vigoni: cotechino, sanguinaccio e calde lenticchie.
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Cotechino, sanguinaccio e lenticchie |
Il Piemonte è nel piatto anche
nella prima portata: artigianali e appetitosi, i tipici agnolotti della
tradizione con sugo di brasato sono stati accompagnati dalla Barbera d’Asti
Montebruna del 2017. La pasta morbida e il sugo sapido ben si sposano a
questa barbera per ottenere la quale ci sono voluti “35 atti notarili e 7
anni”. Un vino interessante che nasce a Rocchetta Tanaro e riposa per un anno
in grandi botti di rovere prima di arrivare sulle nostre tavole. Il colore
della barbera Montebruna è quello dell’estate e dei frutti rossi baciati
dal sole: un sorso di calore nel freddo della notte di novembre.
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Agnolotti alla piemontese |
A seguire, lo spezzatino di cervo
con polenta taragna e porcini, accompagnato dalla Barbera riserva Bricco
dell’Uccellone, vendemmia 2016. Un vino dal nome singolare, che vuole
ricordare una donna che viveva nella collina su cui si trovano le vigne. Dal
naso “importante” e sempre vestita di nero, veniva chiamata “uselun”
dalla gente del paese. Oggi il Bricco dell’Uccellone è una delle
bottiglie di punta dell’azienda vitivinicola Braida: un rosso generoso e
complesso, di classe, che ha ben valorizzato la dolce morbidezza dello
spezzatino e la nota di bosco dei funghi porcini.
Il mio “giovedì nel Retro
Bistrot” si è concluso con la dolce delizia del Novembrino Vigoni,
accompagnato da crema chantilly e servito con il moscato d’Asti Vigna senza
nome. L’amore passava per gli occhi al cuore – passan sì che ‘l cor
ciascun retrova - ci insegnavano i poeti, così una gioia di bambina mi ha
riempito il cuore al solo sguardo della piccola delizia di fronte a me. Le note
di frutta fresca e di fiori del moscato Vigna senza nome sanno
impreziosire la semplice bontà la cui granella, dispettosamente, è scivolata
sulla balza della mia gonna.
Ricordi di una sera al Bistrot
Vigoni, in un piccolo vicolo con piccole luci che velano la mia
commozione. Infiniti istanti di bien vivre.
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Un particolare del forno |
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La presentazione della serata |