martedì 24 dicembre 2019

Di magro e di altre tradizioni della Vigilia: merluzzo con cipolle e uvetta



di Lucia Bongiorni

In Oltrepò pavese nei giorni di magro si preparava (anche) il merluzzo, sotto sale, lasciato ammollare un paio di giorni nell'acqua fredda (ricordatevi di cambiarla almeno cinque o sei volte!) e ben risciacquato. Una volta - come riportano i nostri vecchi - si lasciava a bagno nell'acqua del ruscello, ma mai al chiaro di luna, per evitare che "andasse a male".

Prendete oggi del bel merluzzo bagnato, toglietegli la pelle e tagliatelo a pezzi. In una padella, quindi, mettete due o tre belle cipolle bionde di Voghera tagliate a fette sottili. Stufate che siano, aggiungete il merluzzo e lasciate cuocere per circa mezz'ora. Gli ultimi minuti completate la preparazione con un pugno di uvetta sultanina già fatta rinvenire in acqua tiepida. La miglior tradizione vuole che questo piatto venga servito accompagnato da qualche cucchiaio di morbida polenta, la cui dolcezza altro non farà che mitigare il sapido intenso del merluzzo. Quella tradizione nel piatto che, come sapete, non stanca mai. Buon appetito.





Quella Vigilia di tanto tempo fa



I ricordi sono profumi, i profumi ricordi. La Vigilia di Natale profumava di attesa - un tempo - e profumava di funghi lasciati sobbollire pian piano al caldo buono della stufa a legna. Tanti anni fa la Vigilia di Natale faceva freddo, tanto freddo, e nel buio della notte io vedevo - nella strada tra Voghera e Rivanazzano - la scritta illuminata del Ciabot e per me era già casa. La Vigilia era l'attesa del Natale: nel mio cuore di bambina sapevo che sarebbe passato Gesù Bambino con quei doni che oggi sono così consueti, ma un tempo no. La Vigilia era di magro, e mia nonna pensava a cosa preparare, alla tovaglia più bella che avrebbe incorniciato la nostra tavola e la notte di Natale era un po' più lunga delle altre, perché c'era la messa di mezzanotte e tutto aveva un sapore diverso. La notte della Vigilia aveva il profumo dell'incenso ed era illuminata solo dalle timide luci del presepe. La capanna con la stella cometa, il pozzo dalle acque diafane poco oltre, i pastori con le timide greggi che vegliavano. Il castello di Erode là, lontano, sulla collina, oltre le palme, oltre i torrenti di carta stagnola, oltre i piccoli laghetti presso cui pescatori meno accorti erano stati colti dal sonno. 

In fondo, oggi basterebbe ricordarsi di quella Vigilia di tanto tempo fa per ritrovare il bambino che si è addormentato dentro di noi, quello che ancora si commuove per una semplice carezza.

Che sia ancor così, questa mia Vigilia e che possano, i miei "venticinque lettori", amarne ancora l'attesa e la semplicità, proprio come quando eravamo bambini.

Tanti auguri.

domenica 22 dicembre 2019

Diario semiserio di un pranzo vogherese (al P.Gari)



Il P.Gari


di Lucia Bongiorni

Ha il sapore di certi bistrot d'oltralpe, il P.Gari, con le belle lavagne d'ardesia su cui leggere la lista dei vini in mescita e i piatti del giorno, con il legno caldo e accogliente, le candele accese nell'atmosfera velata di uno degli ultimi giorni d'autunno.



In un angolo di una Voghera da (ri)trovare e (ri)scoprire, il P.Gari s'affaccia su quella che tutti abbiamo sempre chiamato piazzatta Garibaldi, proprio dove un tempo si vendevano bomboniere e bonbon. Il locale è accogliente, splendido per l'aperitivo e ottimo per un pranzo tra amici. L'ambiente è informale, la scelta dei particolari e delle luci invoglia a una sosta prolungata, a prendere un'altra portata, un altro sorso di vino mentre chiacchieri con un'amica. Poi... Come non apprezzare Sara che, dietro al banco, mi chiede subito - come se mi conoscesse - che cosa vorrei bere? 

Uovo CBT con crema allo zafferano


George Bernard Shaw diceva che tutte le cose più belle della vita o sono illegali, o sono immorali o fanno ingrassare. Eppure non credo faccia ingrassare l'uovo cotto a bassa temperatura servito con crema allo zafferano, un'entrée proposta da Alessandro Chiesa che stuzzica il palato e ti fa dimenticare che devi tornare a lavorare. Sarebbe certamente immorale non provarlo, come non potrei non ordinare gli squisiti e morbidissimi ravioli della nonna, che rappresentano quella tradizione nel piatto che non stanca mai il mio fin troppo goloso palato.

I ravioli con il ragù della nonna


Ricordandomi poi che le persona magre sono più facili da rapire, decido - allo scopo di salvaguardare la mia un tempo esile personcina - di condividere con la mia amica Patrizia il dolce. Morbidissimo tiramisù, impreziosito da scagliette di croccante cioccolato, servito in una tazza da cappuccino: il risveglio dei sensi nascosto in un dolce dalla geniale semplicità. 



Semiserie chiacchiere tra amiche in un locale dalla serissima e curatissima cucina: infiniti istanti di bien vivre nell'ultimo sole d'autunno.


Le cose più belle della vita
o sono immorali, o sono illegali
o fanno ingrassare.
G.B. Shaw

lunedì 9 dicembre 2019

Un giovedì sera... Barbera al Bistrot







Vorrei che li vedeste con i miei occhi, certi angoli di Pavia, magari una sera d’autunno, quando una timida nebbia avvolge tutte le cose e oltre l’angolo, oltre quelle colonne che hai oltrepassato mille volte, non sai più se ritroverai le usate forme oppure la porta nascosta per un mondo mai scoperto. Oltre i cortili e i vicoli, oltre le luci d’autunno e quella atmosfera un po’ malinconica tipica dei luoghi d’antica gloria, la città in cui venivano incoronati i re d’Italia e i cui sampietrini sono stati calpestati da Foscolo e Goldoni nasconde altre magie, fatte di profumi e di colori, di granella di zucchero lasciata inconsapevolmente cadere sulla balza della gonna, di dolci nati – secondo leggenda – da antiche verità e grandi nomi. 

Profuma ancora di torta Paradiso il vicolo – che, senza essere genovese è micidiale per quegli studenti che, come sono stata io, lo percorrevano per entrare al Dipartimento di Lingue e sostenere un esame - e in cui si nasconde l’ingresso del Retro, il Bistrot nato nel laboratorio dell’antica Pasticceria Vigoni di Pavia. Chissà, forse ancora oggi, dopo aver aggiunto un voto al libretto universitario, gli studenti vanno a prendere un caffè e una pasta tra gli arredi Liberty della pasticceria. 

Ma, si sa, dietro la magia della pasticceria si nasconde l’arte abile dei maestri pasticceri che, fino a qualche tempo fa, realizzavano i nostri sogni dolci proprio nel laboratorio di vicolo Fusi. Fino al 2008 luogo di produzione dell’eccellente Torta Paradiso, il laboratorio è oggi diventato un bistrot dall’atmosfera calda e avvolgente. Al centro della sala, il forno, coperto di bianche piastrelle e incorniciato da bianche colonne leggermente rastremate. Come ci si aspetta da un vero bistrot, il servizio è allegro, cortese e dinamico; la tavola è ordinata ma informale, l’ambiente del locale coniuga tempi diversi in un incontro dal sapore equilibrato. In questo piccolo angolo fuori dal tempo ordinario, Enrico Vigoni organizza talvolta dei giovedì fuori ordinanza, in cui i piatti del Bistrot vengono accompagnati da vini di un’azienda selezionata. È nata così la serata dedicata alla Barbera dell’azienda Braida di Rocchetta Tanaro (AT).

Un menù autunnale, goloso e assolutamente rispettoso della tradizione è stato abbinato a diverse barbere della cantina Braida, fondata da Giacomo Bologna negli anni Sessanta, in un paese che, come recita una canzone di Paolo Frola, era formato da “Dieci vigne, sei case, una chiesa”. La Barbera La Monella, vendemmia 2018, è stato il primo vino dell’azienda e per primo ha accompagnato l’antipasto elaborato da Vigoni: cotechino, sanguinaccio e calde lenticchie. 

Cotechino, sanguinaccio e lenticchie

Il Piemonte è nel piatto anche nella prima portata: artigianali e appetitosi, i tipici agnolotti della tradizione con sugo di brasato sono stati accompagnati dalla Barbera d’Asti Montebruna del 2017. La pasta morbida e il sugo sapido ben si sposano a questa barbera per ottenere la quale ci sono voluti “35 atti notarili e 7 anni”. Un vino interessante che nasce a Rocchetta Tanaro e riposa per un anno in grandi botti di rovere prima di arrivare sulle nostre tavole. Il colore della barbera Montebruna è quello dell’estate e dei frutti rossi baciati dal sole: un sorso di calore nel freddo della notte di novembre. 

Agnolotti alla piemontese

A seguire, lo spezzatino di cervo con polenta taragna e porcini, accompagnato dalla Barbera riserva Bricco dell’Uccellone, vendemmia 2016. Un vino dal nome singolare, che vuole ricordare una donna che viveva nella collina su cui si trovano le vigne. Dal naso “importante” e sempre vestita di nero, veniva chiamata “uselun” dalla gente del paese. Oggi il Bricco dell’Uccellone è una delle bottiglie di punta dell’azienda vitivinicola Braida: un rosso generoso e complesso, di classe, che ha ben valorizzato la dolce morbidezza dello spezzatino e la nota di bosco dei funghi porcini.


Il mio “giovedì nel Retro Bistrot” si è concluso con la dolce delizia del Novembrino Vigoni, accompagnato da crema chantilly e servito con il moscato d’Asti Vigna senza nome. L’amore passava per gli occhi al cuore – passan sì che ‘l cor ciascun retrova - ci insegnavano i poeti, così una gioia di bambina mi ha riempito il cuore al solo sguardo della piccola delizia di fronte a me. Le note di frutta fresca e di fiori del moscato Vigna senza nome sanno impreziosire la semplice bontà la cui granella, dispettosamente, è scivolata sulla balza della mia gonna.


Ricordi di una sera al Bistrot Vigoni, in un piccolo vicolo con piccole luci che velano la mia commozione. Infiniti istanti di bien vivre.


Un particolare del forno


La presentazione della serata

martedì 17 settembre 2019

La generosità sulla punta della forchetta, nel cuore dell'Oltrepò




di Lucia Bongiorni

Quando sulla punta della forchetta si mette anche il cuore, nascono eventi come la Cena benefica a sei mani che si è svolta alla Hosteria La Cave Cantù di Casteggio. Tre chef, tre ristoranti e un'idea in comune. Damiano Dorati, Resident chef della Hosteria, Antonio Danise, Executive chef del ristorante Villa Necchi alla Portalupa di Gambolò e Rigels Tepshi, Executive chef dell'Ottocentodieci Ristorante di Sannazzaro de' Burgondi hanno messo la loro passione e la loro bravura al servizio di chi ha bisogno di fiducia e di ricerca. Infatti, hanno organizzato una serata in cui la ricerca del gusto si unisce, in un certo senso, alla ricerca medica. Una cena, un'occasione di conoscenza e sensibilizzazione il cui ricavato è destinato al programma di trattamento anti-cancro e anti-virale dedicato ai bambini in cura presso il reparto di Oncoematologia Pediatrica del Policlinico San Matteo di Pavia, diretto dal dottor Marco Zecca, come ha illustrato la dottoressa Comoli intervenuta alla serata.

L'incanto della Certosa Cantù, rara avis, ha fatto da cornice a una serata dall'atmosfera rarefatta ed elegante, in cui fili di luci giocavano a contrasto con le luci del tramonto. Proprio le chiarori rarefatti dell'ultimo sole hanno accompagnato l'esibizione degli chef, che hanno composto gli appetizer nella Corte settecentesca.

Zucca bertagnina di Dorno, fonduta al Pizzocorno e tartufo nero (Antonio Danise)

Gli chef hanno proposto tre differenti e stuzzicanti amouse bouche, ognuno dei quali impreziosito dai prodotti tipici del territorio pavese. La zucca bertagnina di Dorno, morbida e consistente, è stata presentata dallo chef Antonio Danise accompagnata da una fonduta al Pizzocorno della Valle Staffora e tartufo nero: una piccola tavolozza di colori e sapori immediatamente seguita dall'appetizer ideato da Damiano Dorati: diplomatica di vitello con funghi porcini e patate del Brallo

Diplomatica di vitello (Damiano Dorati)

Una piccola nota croccante ha dato al palato la possibilità di cogliere l'assoluta e morbida perfezione della battuta di carne e della dolcezza della patata e del porcino crudo quale assaggio d'autunno. Croccante e sapido, completa il tris il wafer di baccalà mantecato, cipolla di Breme caramellata e cerfoglio dello chef Rigels Tepshi, delizia mignon da gustare e trattenere sul palato. 

Wafer di baccalà mantecato (Rigels Tepshi)

Sei mani in un piatto

Se gli appetizer hanno, come vuole il nome, stuzzicato il mio fin troppo goloso palato, la geometrica perfezione compositiva e cromatica dell'antipasto mi ha letteralmente incantata. Sei mani in un piatto, tre chef per una preparazione dalla rara bellezza, sintonia e bontà: manzo marinato alla soia, mayo allo yuzu, caviale di lompo e pesche bianche. La personalità del piatto è stata esaltata dal vino scelto per l'aperitivo, il Brut Monsupello. Il perlage fine e persistente e il sapore secco hanno valorizzato la delicatezza del manzo marinato e messo in risalto il connubio di sapori accortamente studiato dagli chef.

Riso di settembre (Damiano Dorati)

Come questo mese, che sa ancora di mare e d'estate ma profuma già d'autunno, il primo piatto è una celebrazione di sapori che s'incontrano. Nasce dalle mani dello chef Dorati il Riso di Settembre: riso carnaroli Riserva San Massimo, cicale di mare, mosto d'uva e bottarga servito in abbinamento con il Riesling SE.C. Monsaltum. Equilibratissimo nei sapori, sapido senza essere eccessivamente saporito, la cremosità del risotto raggiunge la perfezione unita al gusto morbido, rotondo e delicatamente dolce delle cicale di mare piacevolmente contrastato dalla croccantezza del crumble di panko, bottarga e mosto d'uva. 

Entrecôte di manzo (Rigels Tepsi)

L'Entrecôte di manzo, fregola mantecata, tamarillo, kumquat confit e il suo fondo è la proposta di Rigels Tepshi per la seconda portata. La qualità e la cottura sapiente delle carni ne ha preservato i succhi il cui sapore viene esaltato dall'agro delicato del kumquat confit. L'insolito abbinamento con il tamarillo, frutto proveniente dal Sud America e singolarmente chiamato "pomodoro arboreo", risulta particolarmente interessante e capace di donare al piatto una nota di piacevole contrasto che esalta - ancora di più - il gusto cedevole dell'entrecôte.  A completamento della portata, il Pinot nero vinificato in rosso Costa del Nero Conte Giorgi di Vistarino, dal colore rubino intenso e dal profumo di frutti rossi che ben si unisce ai sapori studiati dallo chef Tepshi. 

La Scoperta dell'America (Antonio Danise)

L'ombra di tre piccole caravelle di cioccolato naviga ancora verso l'orizzonte e pare portarci, con la fantasia, a un mondo lontano che è appena stato scoperto. La scoperta dell'America di Antonio Danise è il dolce che - abbinato al Moscato Oltrepò Pavese DOC Cà del Gè - sa solleticare ancora il palato di una cena in cui, portata dopo portata, i giochi di sapore non hanno smesso di stupire. Mousse al cioccolato Araguani, spugna al cacao e coulis al mango a coronamento della cena: sulla punta del cucchiaio il pasto nudo della dolcezza di una bacca che arriva da lontano ed è sempre capace di conquistare come se fosse la prima volta.

Quando sulla punta della forchetta si mette anche il cuore, nascono eventi come la Cena benefica a sei mani che si è svolta alla Hosteria La Cave Cantù di Casteggio: la sensazione magnifica di poter far del bene a qualcuno che forse non conoscerai mai, ma il cui sorriso potrebbe essere sul volto del bambino che cammina di fianco a te. Anche questo è bien vivre.


domenica 8 settembre 2019

La Versa: l'anima di un'etichetta.




di L. Bongiorni e C. Curti


C'è stato un tempo in cui un tram elettrico giungeva proprio dove ora ci sono gli uffici della Cantina La Versa: ancora si vedono, nei giardini della struttura e poco distante dalla statua dedicata a Gustavo Cesare Faravelli, i binari su cui correvano le carrozze. La visita alla storica cantina oltrepadana, organizzata dal quotidiano "La Provincia Pavese", inizia così: accolti dal presidente di Terre d'Oltrepo Andrea Giorgi e dall'enologo della cantina Andrea Rossi, che hanno illustrato la storia di un marchio e, insieme, rievocato la memoria di una parte dell'Oltrepò pavese tradizionalmente vocata alla produzione di Pinot nero.


Era il 1905 quando Cesare Gustavo Faravelli, un giorno di inizio estate, fondò la cantina. L'importanza della stessa, "sociale" allora come oggi, crebbe nel corso del tempo e La Versa ottenne, nel 1937, il prestigioso Grand Prix all'Esposizione Internazionale di Parigi. Insieme alla produzione del Metodo Classico, maturò la consapevolezza di potersi avvalere di un sistema di trasporti che fosse veloce ed efficiente, tanto che nell'ottobre 1929 venne finalmente inaugurato il tramvai elettrico che collegava proprio Santa Maria della Versa con Stradella e con la più ampia rete ferroviaria dell'allora Regno d'Italia. 


 Oggi la cantina La Versa produce sia metodo classico che charmat: spicca, tra i prodotti di punta, lo spumante metodo classico Testarossa, il cui nome si fa risalire a un piccolo episodio di paese. Pare infatti che l'avventore di una locanda, vinto ormai dalla sete o dal desiderio, per indicare quale vino desiderasse, abbia detto: "Cam daga cul testa rusa lì", ovvero "mi dia quel testa rossa lì", per indicare una bottiglia chiusa con una capsula rossa.
Il Talento Metodo Classico “Testarossa” La Versa – Millesimato 2015 è l'ultima creazione. Questo spumante è il frutto della lavorazione di uve pinot nero in purezza. Al tiraggio in bottiglia all’inizio del 2016, seguono 36 mesi di affinamento sui lieviti e almeno un altro mese di riposo dopo la sboccatura. Nel bicchiere si mostra  paglierino brillante, con un perlage fine e ben presente. L’esame olfattivo rivela in un primo momento una nota erbacea e di lieviti, che lascia il posto a sentori di piccola frutta rossa. L’assaggio incontra subito una schiuma cremosa, mostrando uno spumante fresco, equilibrato e molto beverino. Si addice ad un aperitivo leggero ma ricercato, non disdegnando di prolungarsi verso antipasti e primi piatti delicati, come i miei Ravioli con carciofi, ricotta e crescenza. In occasione del centenario della fondazione della cantina, La Versa inoltre ha proposto anche il "Principio", spumante sofisticato lasciato riposare ben un decennio sui lieviti.


Quando bevo un vino della cantina La Versa mi piace pensare a tutto questo: alla storia di una cantina che s'intreccia a doppio filo con quella dell'omonima Valle: un luogo bellissimo e profumato, che sa incantare soprattutto adesso, soprattutto quando l'autunno è incipiente e il lavoro è lungo, stancante ma ricco di soddisfazioni. Un calice di Testarossa La Versa mi fa sognare di poter ritornare indietro nel tempo, quando ancora c'era quel tramvai che passava da Vigalone, da Roncole, da Loglio - dove un poco affondano anche i ricordi - per poter giungere fino al cuore della valle.Infiniti istanti di bien vivre.

Ferrovie concesse e tramvie extraurbane, Lombardia Orientale, da www.stagniweb.it. Visibile il tratto della ferrovia Stradella - Santa Maria della Versa.


Bibliografia e sitografia
Colombo, Matteo, Il treno ha fischiato. Storia della tramvia elettrica Stradella - Santa Maria della Versa,  Guardamagna Edizioni, Varzi 2017
www.laversa.it
issuu.com/ilperiodiconews/docs/114periodico/39
www.stagniweb.it
www.infopointstradella.it/storia-dintorni/la-tramvia-elettrica